In tema di patteggiamento, l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che – una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso – diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, in quanto il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà determina effetti non reversibili nel procedimento
E’ quanto statuito dalla Corte di Cassazione sentenza 16 ottobre 2017 – 30 gennaio 2018, n. 4401 con riferimento al ricorso di due imputati, i quali avevano censurato in sede di legittimità la sentenza di patteggiamento emessa nei loro confronti dal Gip presso il Tribunale di Siena.
In particolare, i ricorrenti avevano assunto, per un verso, che l’accordo sulla pena non fosse stato validamente raggiunto non essendo state le imputazioni determinate con precisione all’atto della presentazione dell’istanza di pattegiamento (peraltro condizionata all’archiviazione della fattispecie più grave contestata, in realtà non avvenuta) ma solo all’atto del consenso del PM, per altro verso, che la sentenza fosse nulla essendo stato revocato il consenso al patteggiamento.
La Corte di cassazione ha ritenuto le censure manifestamente infondate riscontrando che le richieste degli imputati di applicazione della pena si riferissero esattamente alle ipotesi di reato per le quali era stata pronunciata la sentenza impugnata ex art. 444 c.p.p.
Ha pertanto escluso che potesse l’accordo sulla pena considerarsi indeterminato e ha precisato,  quanto alla condizione apposta alla richiesta di applicazione della pena – afferente l’archiviazione della fattispecie più grave contestata – che l’accordo non può essere validamente subordinato a condizioni diverse dalla sospensione condizionale della pena che è l’unica condizione prevista dalla legge.
Quanto alla validità della revoca del consenso, la Corte l’ha esclusa sulla scorta dell’indirizzo giurisprudenziale cui si è espressamente uniformata (Cass. Pen. Sez. I, n. 48900/2015), secondo cui l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che – una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso – diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, determinando il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà  effetti non reversibili nel procedimento.
Ha ricordato la Corte come anche l’orientamento che ammette la possibilità di revocare il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena (Cass. Pen. Sez. IV n. 15231/2015), dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 c.p.p., condiziona tale possibilità , non ad una valutazione soggettiva ma ad una sopravvenienza oggettiva, quale ad esempio una legge più favorevole, che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo.
Poichè nel caso di specie non era dato registrare, a motivo della revoca, ma solo una valutazione unilaterale del deducente in cassazione, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi, ha condannato i ricorrenti alle spese del grado e, ravvisando nell’inammissibilità una colpa dei ricorrenti, ha disposto il versamento da parte di questi di una somma a favore della cassa delle ammende.
Fonte: Altalex
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2018