licenziamento-illegittimo-come-calcolare-l-indennita-dopo-la-bocciatura-del-jobs-act
Prima ancora che la Corte costituzionale depositi le motivazioni della sentenza con cui ha dichiarato l’illegittimità del meccanismo automatico di calcolo dell’indennità spettante per il licenziamento illegittimo (per violazione degli artt. 4 e 35 Cost.), il Tribunale di Bari, con sentenza 11 ottobre 2018, n. 43328, ha compiuto una interpretazione costituzionalmente orientata, di fatto anticipando gli effetti di detta pronuncia.
Con la sentenza in questione il giudice ha applicato, di fatto, in anticipo gli effetti della sentenza della Corte costituzionale (le cui motivazioni non sono state ancora pubblicate) che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 nella parte in cui determinava in maniera rigida l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato.
La decisione qui in commento trae origine dal ricorso di un lavoratore licenziato a seguito di una procedura di riduzione di personale ex art. 4 e 24, L. n. 223/91. Il vizio contestato dal ricorrente, ed accolto dal giudice, è di tipo procedurale: il datore di lavoro ha sì effettuato la comunicazione all’organizzazione sindacale di inizio della procedura di licenziamento collettivo (ai sensi dell’art. 4, comma 3, L. n. 223/1991) come previsto dalla disciplina legale ma lo ha fatto in maniera incompleta.
In sostanza, il datore di lavoro non ha indicato «il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato».
Ciò ha comportato, secondo il giudice, l’impossibilità per l’organizzazione sindacale di intervenire attivamente, nell’interesse dei lavoratori, nella discussione intorno alle cause dell’eccedenza di personale, vanificando completamente la ratio alla base della legge sui licenziamenti collettivi con conseguente illegittimità del recesso intimato.
Una volta accertata tale illegittimità , il giudice avrebbe dovuto applicare proprio l’articolo 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, oggetto della pronuncia della Consulta.
E ciò in ragione del fatto che il ricorrente era stato assunto a seguito dell’entrata in vigore del c.d. Jobs Act (ovvero dopo il 7 marzo 2015) nonché prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina sui licenziamenti illegittimi (c.d. Decreto dignità , D.L. n. 87/ 2018).
L’articolo in questione applicabile al caso concreto prevedeva nella sua versione originaria, quale conseguenza del licenziamento illegittimo, che il giudice dovesse dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità , non è assoggettabile a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità .
In base al meccanismo di calcolo automatico così previsto dal legislatore, il lavoratore avrebbe potuto ottenere la corresponsione della indennità minima pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione (calcolata secondo la tecnica utilizzata per il calcolo del trattamento di fine rapporto), essendo il rapporto di lavoro durato poco più di un anno.
Tuttavia, il giudice del Tribunale di Bari ha, invece, compiuto una valutazione di tipo equitativo, in riferimento al caso concreto, sì da ritenere congrua un’indennità pari a dodici mensilità : «la predetta quantificazione dell’indennità è giustificata dalla considerevole gravità della violazione procedurale […]; tale profilo, concernente il comportamento tenuto dall’azienda, deve essere contemperato con le ridotte dimensioni dell’attività economica e il basso numero di lavoratori occupati, unitamente alla scarsa anzianità del ricorrente, sicché induce a ritenere equa, fra il minimo di 4 e il massimo di 24, un’indennità pari a 12 mensilità ».
In sostanza, il giudice ha compiuto un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, disapplicando il criterio di calcolo automatico dell’indennità , basandosi di fatto sul comunicato della Corte costituzionale del 26 settembre 2018 sopra evocato.
In tale documento la Corte ha annunciato di aver dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte in cui «determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio», per violazione degli artt. 4 e 35 della Costituzione.
Interessante notare come il giudizio di costituzionalità sia stato avviato dal Tribunale di Roma (ordinanza 26 luglio 2017), il quale ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità per contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 76 e 117 della Costituzione. In particolare, nell’ordinanza di rimessione si è osservato come l’indennità fissa e predeterminata pari a due mensilità per ogni anno di servizio rappresentasse una misura «modesta ed evanescente», nonché «inadeguata» e priva di effetti deterrenti nei confronti del datore di lavoro, tanto da aprire la strada, di fatto, ad una sorta di libera recedibilità . Se da un lato, infatti, tale previsione ha cristallizzato le esigenze datoriali di poter predeterminare i costi del licenziamento eventualmente dichiarato illegittimo, dall’altro ha reso tale tutela economica inadeguata ed inadatta a compensare il lavoratore ingiustamente licenziato.
La Consulta ha accolto tale prospettazione, chiarendo che, alla luce dei principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza, non era possibile predeterminare rigidamente l’indennità spettante ad un lavoratore ingiustificatamente licenziato basandosi esclusivamente sull’anzianità di servizio.
Il giudice del Tribunale di Bari, pur nella consapevolezza che le norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ha ritenuto imprescindibile l’applicazione del dictum della Corte nella parte in cui ha stabilito che il calcolo predeterminato dell’indennità sia contrario ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza ed in contrasto con il principio lavorista ed il diritto e la tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.).
A questo punto non resta che attendere gli ulteriori sviluppi: da un lato, comprendere se altri giudici applicheranno direttamente la decisione della Consulta sulla falsariga del caso in esame; dall’altro, attendere le motivazioni della Corte costituzionale, la quale potrebbe indicare in maniera chiara ai giudici i criteri da applicare ovvero compiere un invito al Parlamento affinché legiferi in ossequio alle disposizioni costituzionali.
Fonte: Altalex
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2018