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News Giuridiche

Assegno di mantenimento anche al figlio avvocato non autosufficiente

{b427112f-ba70-47b3-bc01-fb337f505abf}_cassazione-civile-ordinanza-19135-2019

l padre deve corrispondere al figlio, libero professionista, un contributo al mantenimento qualora questi non abbia raggiunto l’indipendenza economica.Il figlio, che abbia completato il suo percorso formativo e abbia iniziato a svolgere l’attività professionale di avvocato, ma non percepisca introiti tali da renderlo autosufficiente economicamente, ha diritto al mantenimento. Per il genitore onerato dell’obbligo, resta salva la possibilità di proporre la domanda di revoca dell’assegno periodico, in favore del figlio, in caso di acquisizione, da parte di quest’ultimo, di un livello reddituale idoneo a consentirgli l’autosufficienza.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 17 luglio 2019 n. 19135 (scarica il testo in calce), confermando l’orientamento giurisprudenziale in materia di obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne.

In seguito ad una separazione personale tra coniugi, il giudice accoglieva la domanda di addebito della moglie contro il marito e imponeva un obbligo di mantenimento a favore della donna. Non solo, l’uomo veniva condannato al pagamento di un contributo anche nei confronti della giovane figlia, esercente la professione di avvocato, ma non autosufficiente dal punto di vista economico. Il padre si opponeva alle statuizioni assunte in primo grado e, in sede di gravame, otteneva una parziale riduzione dell’importo corrisposto alla moglie (da 600 a 500 euro), mentre veniva confermato il contributo al mantenimento a beneficio della figlia (pari a 300 euro). Si giunge così in Cassazione ove, tra gli altri motivi di ricorso, l’uomo si duole del versamento dell’assegno a vantaggio della ragazza, ormai trentenne.

2. Obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni
L’obbligo dei genitori di mantenere la prole, previsto dalla Carta Costituzionale (art. 30 Cost.) e dal Codice Civile (artt. 147 e 148 c.c.), non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma permane sino a che i figli non abbiano raggiunto una propria indipendenza economica. Il suddetto obbligo grava su entrambi i genitori in proporzione delle rispettive sostanze (art. 316 bis c.c.).

La giurisprudenza della Cassazione è consolidata nell’affermare che, in capo ai genitori, perdura l’obbligo di mantenimento a beneficio dei figli, anche maggiorenni, che non abbiano ancora raggiunto l’autosufficienza reddituale, senza loro colpa. Secondo i precedenti di legittimità (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016), la valutazione, in ordine alla sussistenza del diritto della prole al contributo assistenziale, deve avvenire considerando:

l’accertamento della condizione economica dei figli,
la loro età,
il conseguimento effettivo di un livello di competenza professionale e tecnica,
l’impegno profuso nella ricerca di un lavoro,
la complessiva condotta da loro tenuta, a partire dal compimento del diciottesimo anno d’età.

3. Limiti alla durata dell’obbligo di mantenimento
Il diritto al mantenimento della prole, a carico dei genitori, non può essere sine die; infatti, si estingue a seguito del raggiungimento di una condizione di indipendenza economica (Cass. Ord. 17738/2015). Per questa ragione, il giudice deve valutare, caso per caso, le circostanze che legittimano il suddetto obbligo in capo agli ascendenti, poiché «il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni che devono tuttavia essere compatibili con le condizioni economiche dei genitori» (Cass. 18076/2014).
In ogni momento il genitore, onerato dell’obbligo di mantenimento, può proporre una domanda di revoca dell’assegno verso il figlio, se dimostra il raggiungimento, da parte di quest’ultimo, di un livello reddituale idoneo a fargli ottenere l’autosufficienza. Nondimeno, l’attività lavorativa, di per sé, non consente automaticamente di escludere il mantenimento; ad esempio, si pensi al caso di un’occupazione precaria, che non garantisce continuità; per contro, l’ottenimento di un lavoro stabile, conforme al proprio percorso formativo, fa cessare il diritto al mantenimento. In ogni caso il figlio, che perda il mantenimento, ha sempre titolo per richiedere un assegno alimentare (art. 433 c.c.), qualora vi siano i presupposti.

4. A quale età si raggiunge l’indipendenza economica?
L’art. 337 septies c.c. dispone espressamente che il giudice possa disporre, a favore dei figli maggiorenni, non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. La norma non offre indicazioni precise in ordine all’arco temporale per cui si protrae il diritto del beneficiario a percepire il mantenimento. Tuttavia, il genitore onerato del pagamento non può esservi tenuto oltre ragionevoli limiti di tempo, in caso contrario, la previsione normativa finirebbe per dar luogo a «forme di parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani» (Cass. 12952/2016). L’avanzare dell’età, quindi, non può considerarsi ininfluente, ma consente di ricorrere, con maggior facilità, alla prova per presunzioni. Pertanto, non è meritevole di tutela la posizione del figlio che, in età adulta, non acquisisca l’indipendenza reddituale tramite l’impegno lavorativo. Infatti, una simile condotta si pone in contrasto con «il principio di auto-responsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona, anche tenuto conto dei doveri gravanti sui figli adulti». Quindi, in età matura, il rifiuto di un’occupazione che non sia corrispondente alle aspettative costituisce indice di un comportamento inerte, a meno che non sia giustificato da idonee ragioni. Infine, non può non citarsi una nota pronuncia di merito (Trib. Milano Ord. 29.03.2016) che fissa in 34 anni l’età oltre la quale il figlio non può più vantare il diritto al mantenimento ma, se ne ricorrono i presupposti, solo il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c. Raggiunta quell’età, non si può più parlare di figlio, ma di adulto; infatti, secondo le argomentazioni del tribunale meneghino: «in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, oltre la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto».

5. Cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne
Come ricordato, l’obbligo al mantenimento non è perpetuo e può cessare anche nel caso in cui la prole non raggiunga l’autosufficienza economica. Il genitore gravato del mantenimento, infatti, ha titolo per ottenere la declaratoria di cessazione del suddetto obbligo, qualora dimostri che il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito sia colposo, ossia dipenda:

dall’inerzia del figlio;
da un suo rifiuto ingiustificato.
In buona sostanza, deve provare che il figlio, abusando del diritto al mantenimento, tenga un comportamento inerte o rifiuti immotivatamente delle occasioni lavorative o, nel caso in cui il percorso di studi non sia concluso, sia negligente nel sostenere gli esami o, infine, manifesti un totale disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica. L’onere della prova, quindi, grava sul genitore che intenda liberarsi dalla propria obbligazione. A lui spetta dimostrare e allegare le circostanze di fatto da cui desumere, anche in via presuntiva, l’estinzione dell’obbligo in parola, a causa del comportamento negligente del figlio o della sua colposa inettitudine o trascuratezza. Inoltre, «l’avanzare dell’età è un elemento che necessariamente concorre a conformare l’onus probandi» (Cass. 5088/2018). Infatti, l’età nella quale si è concluso il percorso di studi (si pensi all’iter universitario) fa presumere che la persona sia ormai inserita nella società e che la mancanza di indipendenza economica dipenda da una sua inerzia colpevole. Tale presunzione è vinta dalle situazioni in cui vi siano ragioni individuali specifiche, quali problematiche di salute o peculiari contingenze personali oppure motivi oggettivi, come la difficoltà di reperimento o conservazione di un’occupazione (Cass. 12952/2016).

6. Conclusioni
L’ordinanza in commento si allinea all’orientamento consolidato della giurisprudenza e conferma l’obbligo di mantenimento del genitore a favore della figlia, libera professionista, poiché i guadagni da lei percepiti non sono sufficienti a garantirle l’indipendenza economica. Secondo la valutazione del giudice di merito, infatti, la ragazza aveva completato il proprio percorso formativo e aveva iniziato a svolgere l’attività di avvocato, tuttavia, stante l’insufficienza degli introiti percepiti, godeva a pieno titolo del contributo al mantenimento. In buona sostanza, l’esiguità del reddito percepito dal figlio rende attuale l’obbligo di mantenimento. La Cassazione ribadisce che il suddetto obbligo sussiste solo nel caso in cui la mancanza di autosufficienza reddituale non dipenda dalla condotta negligente o inerte della prole. In conclusione, la valutazione deve farsi, caso per caso, considerando la situazione di fatto e la condotta tenuta dal figlio maggiorenne, che è titolare del diritto all’assegno periodico solo allorché sia, senza sua colpa, non autosufficiente.

Fonte: Altalex

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