{c9d76858-d41e-46c2-8797-e2192435d348}_cassazione-civile-sentenza-22457-2019
In caso di compravendita dissimulante una donazione, il giudice dinanzi al quale è proposta l’azione di simulazione (finalizzata a trascrivere l’atto di opposizione alla donazione, ai sensi dell’art. 563, quarto comma c.c.) può e deve rilevare d’ufficio, anche in appello, l’esistenza di una causa di nullità diversa del negozio dissimulato.
Ciò comporta che se è già pendente il giudizio di appello e ormai è inammissibile una domanda di accertamento in tal senso ad opera della parte interessata, il giudice, pur accertando in motivazione l’esistenza della diversa causa di nullità , deve rigettare l’originaria pretesa stante il divieto dei nova in appello.
L’accertamento della nullità , salvo sia oggetto di impugnazione, ha comunque efficacia di giudicato tra le parti.
Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza 9 settembre 2019, n. 22457 (scarica il testo in calce) affronta l’inedito e complesso tema degli effetti della simulazione relativa oggettiva, con particolare attenzione alla facoltà per il giudice d’appello di rilevare d’ufficio nuove cause di nullità del negozio dissimulato.
Due sorelle agivano in giudizio lamentando che i genitori, con due distinti atti di compravendita, avessero venduto degli immobili ad una terza sorella e al di lei marito ma che in realtà le vendite fossero fittizie, dissimulanti delle donazioni.
Ciò era comprovato da una serie di elementi indiziari quali ad esempio il rapporto di parentela esistente tra i contraenti, il pagamento integrale del prezzo prima della stipula degli atti (circostanza espressamente menzionata in contratto), nonché l’incongruità del prezzo stesso rispetto al valore effettivo dei beni venduti.
Le attrici chiedevano quindi che venisse accertata la natura simulata degli atti di compravendita in modo da poter trascrivere l’opposizione alla donazione di cui all’art. 563 c.c. (possibile, essendo ancora in vita i pretesi donanti) e quindi conservare, all’esito del vittorioso esperimento della successiva azione di riduzione, la facoltà di agire in restituzione contro i terzi acquirenti dei beni donati.
Malgrado la resistenza dei convenuti, che assumevano che le vendite fossero reali, il Tribunale di Varese – sezione distaccata di Luino – accoglieva la domanda, ritenendo che le compravendite dissimulassero in effetti delle donazioni.
I convenuti (donante e donatari) appellavano quindi la sentenza evidenziando che le donazioni dissimulate in realtà erano nulle, difettando dei necessari e prescritti requisiti di forma in materia di donazione (si lamentava in particolare l’assenza di testimoni).
La riferita censura veniva condivisa dalla Corte d’Appello di Milano, la quale osservava che dato che l’azione di simulazione era stata proposta al solo scopo di trascrivere l’opposizione alla donazione, tale domanda non poteva essere accolta proprio in ragione della nullità per vizi di forma dell’atto donativo dissimulato.
Il ricorso per cassazione: i motivi
Avverso tale pronuncia le originarie attrici proponevano ricorso per cassazione, lamentando sia la violazione delle norme in materia di simulazione relativa, sia l’inosservanza dei principi in tema di rilievo d’ufficio della nullità .
Sotto il primo profilo osservavano che quando è proposta una domanda di simulazione relativa oggettiva (volta cioè ad accertare che il negozio concluso tra le parti ne cela in realtà un altro, il solo effettivamente voluto dai contraenti), l’accertamento dell’esistenza di una causa di nullità diversa del negozio dissimulato deve comportare la relativa declaratoria. Ciò anche se emerge che il contratto dissimulato è privo dei prescritti requisiti di forma o di sostanza.
Nel caso in esame, di fronte alla deduzione di nullità del negozio dissimulato contenuta nell’atto di appello, la Corte di merito avrebbe quindi dovuto dichiarare l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse o comunque accertare l’inidoneità dell’atto dissimulato a produrre i suoi effetti.
Le ricorrenti rilevavano inoltre la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di rilievo d’ufficio della nullità .
Riferivano a tal proposito che una volta appurata la carenza dei requisiti formali prescritti per l’atto di donazione, la Corte di merito non avrebbe potuto né dovuto rigettare la domanda, assicurandosi per contro che il negozio nullo non continuasse a produrre i suoi effetti.
Pur ritenendo entrambi i motivi infondati la Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sulla questione, peraltro (per sua stessa ammissione) inedita per la giurisprudenza di legittimità .
L’esame della fattispecie prende le mosse dal contenuto della domanda attorea che, essendo ancora in vita i pretesi donanti, era stata proposta per far emergere la natura simulata delle compravendite.
Ciò, tuttavia, non allo scopo di vanificarne l’efficacia (risultato conseguibile con l’azione di riduzione, che tuttavia non può esperirsi prima che sia aperta la successione dei donanti) bensì unicamente per consentire la trascrizione dell’atto di opposizione alla donazione, così come previsto all’art. 563, quarto comma c.c., preservando al contempo la possibilità per le attrici di agire in restituzione verso i terzi acquirenti, all’esito dell’intervenuto accoglimento dell’azione di riduzione.
In sintesi la Corte prefigura un più ampio e complesso iter procedimentale, volto a preservare i diritti ereditari delle attrici, connotato da una sequenza coordinata di azioni, legate tra loro da una rapporto di logica pregiudizialità , di cui quella di simulazione rappresenta l’incipit e a cui faranno eventualmente seguito (una volta aperta la successione dei donanti) l’azione di riduzione e (in caso di accoglimento di quest’ultima) l’ulteriore azione di restituzione nei confronti di possibili terzi acquirenti dei beni.
Il rilievo d’ufficio di una diversa causa di nullità in appello
L’ammissibilità di un’azione di simulazione proposta a tal fine (strumentale cioè alla trascrizione dell’atto di opposizione ex art. 563, quarto comma c.c. e alla sospensione del termine per l’eventuale proposizione della domanda di restituzione nei confronti dei terzi acquirenti) trova conferma nella stessa giurisprudenza della Corte (Cass., 30 luglio 2004, n. 14562; Cass., 21 febbraio 2007, n. 4021).
Quest’ultima chiarisce tuttavia che per poter validamente formulare l’opposizione è necessario che l’azione di simulazione relativa sia stata esperita con successo.
Occorre quindi sia stato accertato che la donazione, seppur dissimulata, era valida e come tale sorretta da una manifestazione di volontà idonea a preservare i diritti dei soggetti contemplati dall’art. 563 c.c. in caso di successiva alienazione del bene donato.
Per tale motivo, osserva la Corte, la Corte d’Appello ha correttamente rilevato la nullità degli atti dissimulati (non trovando limitazioni in tal senso in ragione del grado di giudizio in cui si trovava la causa) ma al contempo ha giustamente evitato la relativa declaratoria, consapevole dell’assenza di una domanda di accertamento della nullità già avanzata in primo grado nonché del divieto di proporre nuove domande in appello, operante anche quando la nullità sia rilevata d’ufficio.
Sul punto si erano già espresse le Sezioni Unite (Cass. S.U. sent. n. 14828/2012; Cass. SS. UU. sent. n. 26342 e 26243 del 2014) chiarendo che se l’esistenza di una causa di nullità emerge dall’esame di una domanda con cui si invoca una diversa patologia negoziale, l’assenza di una domanda di nullità avanzata nel giudizio di primo grado vincola il giudice ad una pronuncia di rigetto.
Quando la nullità non può essere dichiarata (mancando appunto un’espressa richiesta delle parti in tal senso, formulata nel rispetto delle regole di rito), il giudice deve comunque dare atto in motivazione del rilievo posto alla base del rigetto, rilievo che tuttavia, chiarisce la Corte, ancorché non sfociato in una declaratoria in dispositivo acquisisce efficacia di giudicato tra le parti, precludendo la riproposizione della questione in un successivo giudizio.
Conclusioni
Tornando al caso in esame la Corte conclude quindi che, in assenza di una domanda di nullità già avanzata nel corso del giudizio di primo grado, nonché in ragione del nesso di strumentalità intercorrente tra la domanda di simulazione relativa e l’esercizio del diritto di opposizione, la Corte d’Appello ha correttamente rigettato la domanda, stante la nullità per vizio di forma delle donazioni dissimulate.
Un accertamento che, coerentemente con quanto sopra esposto e anche poiché legato al riscontro dell’effettiva volontà dei contraenti, ha comunque efficacia di giudicato tra le parti del giudizio.
Per tali motivi la Corte ha rigettato il gravame, compensando però le spese del procedimento in ragione della novità e complessità della questione trattata.
Fonte: Altalex
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SET
2019