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Assegno di mantenimento: art. 570 bis Cp non si applica ai figli di genitori non coniugati

Con l’introduzione dell’art. 570 bis c.p. è stato abrogato, ma non sostituito l’art. 3 della legge 54/2006. Invero, l’indicazione contenuta nell’art. 570 bis c.p., che fa espresso riferimento al “coniuge” che viola l’obbligo di mantenimento posto dal giudice civile in favore dei figli, non consente l’applicazione dell’articolo predetto rispetto a genitori non coniugati, le cui violazioni del dovere di assistenza familiare saranno però punibili ai sensi dell’art. 570 c.p. Così stabilisce la sentenza n. 554 del 2018 del Tribunale di Treviso.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi:
Cass. pen. 20 aprile – 22 maggio 2017, n. 25498
Difformi:
Non si rinvengono precedenti
Il Tribunale di Treviso viene chiamato a decidere in merito alla sussistenza o meno della penale responsabilità di un padre che aveva omesso di versare la somma stabilita dal giudice civile a titolo di contributo al mantenimento del proprio figlio. Il giudice di merito, in particolare, si interroga su quale sia la corretta qualificazione giuridica della condotta in contestazione alla luce delle recenti modifiche legislative.

 

Il caso

L’imputato aveva intrecciato una relazione sentimentale e di convivenza con una donna e, nel corso di tale convivenza, era nato un figlio. Successivamente il rapporto con la donna era entrato in crisi e per questa ragione le parti erano comparse avanti al Tribunale civile per definire le condizioni di affidamento del figlio minore.

Nel 2014 il Tribunale adito aveva affidato in via condivisa il figlio minore ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, ed aveva disposto che il padre versasse la somma mensile di euro 200,00 al mese a titolo di contributo al mantenimento, oltre al 50% delle spese straordinarie.

Il provvedimento del Tribunale, oggetto di reclamo, era stato poi confermato dalla Corte d’Appello.

A fronte dell’obbligo posto dall’Autorità Giudiziaria, l’imputato non aveva mai versato la somma dovuta, fatta eccezione per euro 150 corrisposti nel 2017.

Per questo motivo la madre del minore aveva presentato la denuncia da cui si era originato il procedimento penale a carico dell’imputato.

Il processo

Il giudizio veniva celebrato con rito ordinario e, una volta aperto il dibattimento, si procedeva ad acquisizione documentale, all’escussione del teste indicato dal Pubblico Ministero ed all’esame dell’imputato.

L’imputato si difendeva dall’accusa rivoltagli sostenendo di non avere mai lavorato in modo regolare dal 2014 e che quando aveva potuto aveva dato del denaro al figlio e gli aveva comprato dei regali. Aggiungeva, inoltre, che in alcune occasioni aveva anche dato del denaro in contanti alla moglie, ma non era in grado di dimostrare ciò essendo privo di ricevute.

Dopo aver sentito le conclusioni delle parti, il giudice di prime cure si ritirava per deliberare e pronunciava infine sentenza di condanna.

La decisione del Tribunale

In primo luogo, il Tribunale si sofferma su una questione di diritto quale, ovvero chiarisce quale sia la corretta qualificazione giuridica dei fatti oggetto del procedimento.

Infatti, il reato originariamente contestato all’imputato era quello previsto dall’art. 3 della legge 54/2006, che è però stato abrogato con l’introduzione dell’art. 570 bis c.p.

Il giudice di prime cure evidenzia che l’art. 570 bis c.p. prevede che le pene indicate nell’art. 570 c.p. si applichino al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio o che comunque violi gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

Ad avviso del giudicante questa fattispecie, indicando espressamente il “coniuge” come destinatario del precetto, non è configurabile nei confronti di genitori non sposati come nel caso in esame.

Infatti, per quanto la giurisprudenza avesse in precedenza riconosciuto che la fattispecie di cui all’art. 3 della legge 54/2006 sussistesse anche nell’ipotesi di omesso versamento della somma fissata dall’Autorità Giudiziaria per il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio a seguito della cessazione di un semplice rapporto di convivenza tra i genitori, in modo da garantire che non vi fossero disparità nella tutela della prole in base al solo fatto di essere nata o meno in costanza di matrimonio e da uniformarsi ai principi dettati dall’art. 337 bis c.c. che estende anche ai figli naturali le disposizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, il tenore letterale dell’art. 570 bis c.p., di fatto, non consente equiparazioni tra genitori coniugati e non coniugati.

Invero, il riferimento specifico ai “coniugi”, assente nel previgente art. 3 della legge 54/2006, rappresenta un limite ineludibile, non potendo essere consentita una applicazione analogica della norma in malam partem.

Ciò premesso, il giudice di merito passa a verificare se l’abrogazione dell’art. 3 della legge 54/2006 abbia determinato una vera e propria depenalizzazione o se comunque la violazione delle obbligazioni economiche fissate dal giudice civile in materia di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio mantenga una connotazione di illiceità penale.

Il Tribunale di Treviso, sul punto, giunge alla conclusione che la condotta del genitore non coniugato che non corrisponde l’assegno di mantenimento a favore del figlio minore nato fuori dal matrimonio integri il reato di cui all’art. 570, comma 1 c.p., ovvero, laddove sia contestata anche la circostanza di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza, quello di cui all’art. 570, comma 2 n. 2 c.p.

Al riguardo viene evidenziato che, da un lato, il soggetto attivo del reato di cui all’art. 570 c.p. è il genitore senza ulteriori specificazioni, giacché la norma è posta a tutela della famiglia in senso ampio e non solo di quella fondata sul vincolo del matrimonio, e, dall’altro, che la violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti del figlio ben si può realizzare attraverso la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal Tribunale civile.

Per le ragioni di cui sopra il giudicante modifica l’imputazione in sentenza, precisando altresì che la variazione dell’imputazione dal reato di cui all’art. 3 della legge 54/2006 al reato di cui all’art. 570 comma 1 c.p. (non essendo stata contestata l’aggravante di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza) non comporti violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto risultano immutate le condotte contestate in fatto e la riqualificazione giuridica è avvenuta nel rispetto del contraddittorio e non a sorpresa.

Su quest’ultimo aspetto in sentenza viene evidenziato come la diversa qualificazione giuridica rappresentasse un epilogo prevedibile del giudizio, circostanza testimoniata anche dalle argomentazioni difensive esposte in sede di discussione dal patrono dell’imputato.

Chiariti tutte le questioni sopra indicate in punto di diritto, in punto di fatto il giudice di prime cure giunge alla pronuncia di condanna in ordine al reato di cui all’art. 570 comma 1 c.p. ritenendo provate in giudizio le condotte contestate all’imputato.

Infatti, da un lato, sono pacifici i mancati pagamenti delle somme dovute a titolo di mantenimento in assenza di documentazione comprovante eventuali versamenti e, dall’altro, risultano del tutto infondate le argomentazioni difensive volte ad affermare l’incapacità dell’imputato di far fronte alle proprie obbligazioni.

In particolare, in merito a quest’ultimo aspetto, il giudice di prime cure rileva che lo stesso imputato nel corso del suo esame, aveva ammesso di avere lavorato negli ultimi quattro anni e che la capacità economica dello stesso fosse altresì dimostrata dal fatto che questi fosse in grado di pagare regolarmente un affitto.

Inoltre, precisa ancora il giudicante che la responsabilità non possa essere esclusa né attenuata in ragione del fatto che l’imputato avesse provveduto ad acquistare beni a favore del figlio, essendo pacifico che il soggetto obbligato a corrispondere il mantenimento non abbia la facoltà di sostituire la somma di denaro stabilita dal giudice civile con cose o beni che, a suo avviso, meglio corrispondano alle esigenze del minore.

Fonte: Altalex

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